25 nov 2016

Alba - Storie della Theria

Dopo essermi confrontato con la più classica delle crisi d'ispirazione, oggi ho deciso di proporvi una storia breve scritta in questi giorni. Appartiene al genere fantasy e alla stessa ambientazione del viaggio di Edrian Avamhaeir. In questo caso, però, si tratta realmente di narrativa, quindi spero di non annoiarvi.
La storia è ambientata in Theria (se volete sapere di più su questa terra premete qui) e preferisco non anticipare altro. 
Vi lascio alla lettura:

Alba
 Storie della Theria


L’alba è più bella, quando non sei povero.
Non capisci perché, te lo leggo negli occhi.
Ne ho discusso tante, troppe volte, credimi. Provavo a descrivere le fatiche del lavoro nei campi, la miseria, ma ribattevano che la bellezza dell’alba poteva, anzi, doveva essere un conforto. Un dono del quale essere grati.
Non erano in grado di arrivarci, anche se sono io l’ignorante.
So che vivete l’alba come un momento speciale, persino magico, ma è perché non la vedete ogni giorno, perché potete scegliere di cercarla o imbattervici per caso, senza mai realizzare di custodire il privilegio di valorizzarla.
L’alba non determina chi siete, non scandisce la vostra giornata, il vostro destino.
L’alba è bella, lo so. Non pensare che voglia negarlo. Ma tu non negare a te stesso, e specialmente a me, che soltanto nei vostri occhi può brillare liberamente.
Non parlo come un contadino, dici? Un tempo non avrei colto il disprezzo insito nelle tue parole.
La verità è che, per un nobile guerriero grental, è scontato sentirsi superiore a chi sostiene di difendere. Quanta ipocrisia.
Che Ladarco mi sia testimone: quando ero giovane non sapevo realmente chi foste.
Lavoravo vicino al forte che porta il vostro nome, ero nato in quelle terre, ma non conoscevo le vostre origini.
Mentre percorrevate al trotto le stradine attigue ai campi, vedevo soltanto dei cavalieri, con stupende armature che riflettevano i raggi del sole.
Mi accecavate e io vi ammiravo, sognavo di essere uno di voi. Dicevano che era impossibile, ma non conoscevo il vero perché. Non avevo modo di farlo.
Voi eravate gli eroi che ci proteggevano col mandato del Re, i nemici erano altri: i perversi stregoni di Eltharia e i sanguinari ubelivysk, desiderosi solamente di ucciderci o renderci schiavi.
Puoi smetterla di guardarmi con disprezzo, sto ridendo perché posso permettermi di farlo.
Tu sei mai stato al fronte? No, è evidente. Se vi fossi stato sapresti quali di quegli orrori sono reali e quali non osano nemmeno raccontarci.
Fui reclutato nel Selathor del 1070; non ricordo la quintana, ma per un villico è già tanto sapere l’anno, giusto?
Sapevamo soltanto che gli ubelivysk imperversavano per le campagne di Gòrados, niente di nuovo.
A pensarci ora, quel bisogno di braccia, sottintendeva che le stavate prendendo.
Ero forte e giovane, per un disgraziato; devoto a voi, galvanizzato dalla sciocca convinzione che seguirvi al fronte e combattere al vostro fianco mi avrebbe reso un grental. Perfetto per i vostri scopi.      
Fui addestrato rigorosamente sotto il comando di Robrek Kano. La cosa ti stupisce? Arrivò a complimentarsi con me in più di un’occasione, mi trasformò in un esempio per gli altri.
Dei, se ripenso a quanto mi rese orgoglioso sento già le lacrime rigarmi il volto. 
Pensavo che il mio futuro sarebbe stato radioso, la mia determinazione era sufficiente a ottenere qualunque risultato.
Sciocco, sciocco ragazzo.
Hai mai visto la fortezza di Kamenae? Di certo non coi miei occhi di allora. Eravamo un esercito che andava a punire i barbari e a salvare gli innocenti. La nostra marcia era un rombo, riecheggiato dalle mura.
Essere parte di tutto quello… mi mancano le parole necessarie a farti capire.
Non le trovo neanche per descriverti la battaglia di Ormok del 1071. Lo avranno fatto altri, appartenenti a schieramenti diversi.
Ti sei mai sentito totalmente impotente? Non lo realizzai poco alla volta, ma in un istante. In un istante si palesò la realtà: quei pochi mesi di addestramento non valevano niente. Eravamo carne da macello. Capii anche questo in un istante, quando le frecce dei groba trapassarono i compagni che avevo imparato a chiamare fratelli, quando i mastini ruwurgoor li sbranarono per scompaginare delle fila che non erano mai esistite, così che i frwagaan caricassero con un grido che la mia mente rievoca ogni notte.
Dei… ho imparato tutti gli impronunciabili nomi di quei figli di puttana, ma ancora non sono in grado di concepire quella furia.
Se mai dovrai combatterli, ragazzo, impara che i demoni hanno più pietà degli ubelivysk.
Forse sarebbe stato meglio morire quel giorno, non te lo so dire, davvero, ma so che quella seguente non fu vita.
Venni catturato, e no, questo non contraddice il discorso sulla pietà degli ube.
Sai cosa significa ubelivysk? Niente di più di “uomo cinghiale”. Quei figli di puttana li amano i cinghiali.
E sai come chiamavano noi? Livyskshlaart: “uomini fatti di merda”. Ma se fai il bravo, puoi aspirare a diventare un ubeshlaart: “merda di cinghiale”. È un nome appropriato, perché dell’uomo a quel punto non hai più nulla, ti hanno masticato e cagato, quindi adesso hai qualcosa del cinghiale e questo gli basta. No, non per lasciarti in pace, sei sempre uno schiavo, ma hai la possibilità di vivere più di una manciata di anni. Sai, nella loro gerarchia gli schiavi non valgono come degli oggetti. Valgono meno.  
È meglio che non riviva un secondo di più di quei giorni. Non vuoi sentire, non vuoi sapere cosa devi fare per meritartelo, quel titolo.   
Scoprii più avanti che mi avevano portato molto più a nord di quel che pensassi, non troppo lontano da Ryvalcorn. Non sapevo neanche quanto tempo fosse passato e ti stupiresti di come possa diventare un uomo in meno di un anno. Dentro di me sapevo di essere al limite, avevo sentito racconti su schiavi che avevano retto anche più di un decennio, ma non sono in grado di capire come.
Arrivi a quel punto che… e non è orgoglio, l’orgoglio non sai più cos’è da un pezzo, è quel punto in cui non ti racconti più delle favole e pensi: “Che mi ammazzino”. È un momento di lucidità, in mezzo a tante altre cose molto più squallide, sei persino fortunato se riesci a cogliere l’attimo, prima che qualcosa in quella mente persa ti riconduca all’ennesimo masochistico sragionamento.
In uno di quei momenti mi andò bene.
Oh… li avevo visti torturare l’ultimo che aveva provato a scappare; quella era durata poco, credimi, sarebbe stata la scelta giusta anche se mi avessero preso.
Perché non l’hanno fatto, ti chiedi? Perché anche se impiegai troppo a comprenderlo, quello fu il giorno più fortunato di tutta la mia fottuta esistenza.
Non sapevo dove fossi, non sapevo dove andare e non avevo forze. A loro bastavano i mastini.
Stavo vuotando la vescica su un albero morto, quando li sentii abbaiare. Dovrebbe bastarti a comprendere il mio stato mentale.
La bestia più veloce si avventò sulla mia gamba e sulla mia faccia, puoi riconoscere i segni da te; non ho smesso di zoppicare un giorno.
Pensai davvero di essere fortunato, non ti sto mentendo, il ruwurgoor si stava scatenando, e mi avrebbe maciullato ben prima che il suo padrone groba riuscisse a richiamarlo.
Fu abbattuto dalla freccia di un rodem. Potresti pensare che avesse un’ottima mira, ma la realtà è che non gliene fregava un cazzo di sbagliare e centrare me anziché il mastino. 
Sai cosa stava succedendo? Mi ero trovato in mezzo a un’incursione di barbari rodem contro gli ube. Se fossi rimasto al mio posto avrei dovuto combattere, come ogni ubeshlaart, ma il mio gesto sconsiderato era stato provvidenziale.
È folle aspettarsi che la vita funzioni in questo modo, perché c’è sempre un prezzo da pagare.
Quel giorno passai dall’essere uno schiavo degli ubelivysk a essere uno schiavo dei rodem. Pochi la considererebbero una benedizione, ma io lo feci.
Amavano prendermi in giro, umiliarmi. Io sorridevo e loro pensavano di avermi spezzato. Sorridevo perché sapevo che quello non era niente.
Si stancarono di me presto e fui venduto, più volte, persino a prezzi ridicoli.
E un giorno fu lei a comprarmi.
Mise piede in quel villaggio dimenticato dagli dei come una regina. Il nostro re non l’ho mai visto, sai? Considerato lo stato in cui mi trovavo e confrontandolo col suo, con le sue movenze, il suo portamento… se avessi in mente quell’immagine non potresti contraddirmi.
Eppure, quando capii chi era, l’incanto si trasformò in puro terrore.
Ci pensi? Ero sopravvissuto agli ube, mi ero abituato a essere uno schiavo, eppure sapere che quella donna era una maledetta strega elthariana mi fece gelare il sangue.
Dei, mi avete infilato in testa tante di quelle stronzate che, in quell’istante, ho persino pensato di rubare il coltello di un rodem per recidermi la gola.
Le prese in giro di quei barbari mi scalfirono per la prima volta. Sarei stato il sacrificio di sangue di una sposa di Mihen, che avrebbe danzato con la mia testa mozzata in mano, lusingata da risate demoniache.     
Si chiama Varely Wel-Ghaél, è una maga dell’accademia dei Serpenti di rubino, ed è la donna più intelligente e altruista che io abbia mai conosciuto.
So cosa stai pensando: che una dama per bene non avrebbe alcun contatto con dei vili barbari. Potremmo discutere a lungo di questo e delle vere origini della tua stirpe. Mi limiterò a dire che quella donna ha un coraggio che tanti di voi possono scordarsi.
I rodem sono violenti, ma superstiziosi, Varely e alcuni membri della sua cerchia lo sanno bene. Sfruttano i loro poteri… perdonami, lei preferiva li chiamassi “studi”. Sfruttano i loro studi per impressionarli, evitare incursioni e altre complicazioni, in modi che non esisteresti a definire pratici. Qualche volta finiscono persino per salvare un’anima.
Sei stupito? Non riesci a credere che un’elthariana, una maga, abbia disinteressatamente liberato un figlio dei Thanrir come me?
Puoi credere che abbia visto qualcosa nei miei occhi, o a seconda di quanto sei stupido che volesse rendermi suo schiavo. Non mi interessa.
Lei mi ha ridato la vita, e non dovresti dubitarne.
Credi che a quel punto non fossi morto dentro? Non fossi convinto di essere irreparabilmente rotto? Impossibilitato a credere in qualcosa, qualunque cosa?
Fui diffidente, ribelle, ottuso e superstizioso come voi mi avete cresciuto. Lei fu paziente, dolce, sentii che capiva il mio dolore o che almeno provava a farlo.
Era bella? Certo che lo era, ma non è questo il punto, so cosa cerchi di insinuare.
Cedetti a piccoli passi, mentre recuperavo le forze. Da poche parole finimmo per discutere per ore, giorni interi.
Sono un ignorante, ma lo ero molto di più. Non mi giudicava, mi aiutava a capire.
Finii per esserle grato, il suo scopo, dirai. E sai che accadde? Cercai di renderle il favore, mi offrii di fare qualunque cosa per ripagare il mio debito, anche il più umile dei lavori. 
Mi ritrovai a farle da domestico, praticamente. Ridi pure quanto ti pare.
“Qualche altro mese”, “Qualche altro mese”, le ripetevo, “Giusto il tempo di ripagarti”.
Sono rimasto due anni con lei, mettendola persino in imbarazzo con una tale devozione, ne sono certo.
Mi ha insegnato a leggere e scrivere, a usare termini meno volgari, per quanto cada ancora nel vizio.
Quasi ogni sera ci confrontavamo su un argomento. Lei voleva sapere come la pensassi, anche se il più delle volte non capivo di cosa parlasse e non avevo una vera opinione. Nessuno mi aveva insegnato che potesse avere un valore. Nessuno mi aveva insegnato a formarmene una.
È così che ho scoperto il significato di parole ignote, come propaganda. È così che ho scoperto di epoche che non ho vissuto, che il mio re, che straparla di libertà per tutti i theriani, in realtà ha venduto la mia gente a voi, barbari grental che ora si fanno chiamare cavalieri. Tutto questo per salvaguardare la sua libertà, mentre altri si spaccano la schiena per una vita intera o muoiono per consentire a pochi di godersi i piaceri della vita.
Mi ha plagiato? È questo che sostieni?
Potrei dirti che hai ragione, ma il vero problema è che, anche se lei avesse mentito, siete voi che avete vinto. Siete voi, che mi avete plagiato meglio.
La contestavo.
Ero palesemente l’idiota, in quella sala, ma mi aveva insegnato ad avere l’ardire di contraddirla.
“Non può essere”, ho ripetuto fino alla nausea. Cercavo giustificazioni e non volevo cedere su nulla.
Era in grado di accettarmi anche così.
Vuoi la verità? Ho sentito anche le opinioni di elthariani che ci odiano e Varely mi ha parlato di maghi che realizzerebbero realmente le nostre paure, se solo avessero la strada spianata. Ma così non è.
C’è un’unica cosa che posso recriminarle: mi ha convinto davvero che la mia parola contasse qualcosa. Ho confuso il valore che avevo per lei con il valore che voi potevate darmi.
Ho deciso di ripartire anche per altre ragioni. Volevo far sapere ai miei famigliari che stavo bene e pensa un po’, dopo essere arrivato così lontano, provavo persino una sciocca nostalgia di casa.
Lei mi diede un anello d’argento e un bacio, chiedendomi di tornare, se e quando avessi voluto.
Nel viaggio di rientro ho visitato la costa orientale, visto grandi città, ascoltando con una mente nuova parole che sottovalutavo e condividevo, che ora mi lasciano spiazzato, inorridito.
Sono stato coinvolto in qualche rissa, lo confesso, confesso persino di aver dato il primo pugno. Ma uno zoppo tende a prenderne, più che a darne.
E finalmente ho raggiunto il forte dei grental.
Immagina il mio stupore quando ho incrociato lo sguardo con Robrek Kano, il mio vecchio comandante, sopravvissuto alla battaglia di Ormok come me, ma senza farsi catturare. Un eroe del regno.
Avrei avuto l’ardire d’abbracciarlo, ho disimparato qual è il mio posto. Lui preferì concentrarsi sul mio anello. C’è un serpente in rilievo, sai? E pare che il comandante odi la gioielleria elthariana.
Vuoi che ti dica che la guerra l’ha reso paranoico? Non puoi permetterti di rispondermi, ma conosci il resto della storia.
Accusato di diserzione e tradimento. Una spia dei Serpenti di rubino. Quanta carriera ha fatto questo contadino?
Un contadino era e un contadino rimane, la cui vita è scandita dall’alba.
Impiccatelo all’alba, che crudele ironia.
Senti ragazzo… tu puoi credere alla storia che vuoi, sei giovane e nobile. Ti hanno posto a guardia di uno sventurato affinché non scappi, affinché fronteggi ancora una volta quella luce rosata che non riesce ad apprezzare. Ma dovrai farti le ossa, un giorno.
Posso chiederti un solo favore? Uno soltanto: ricorda che il mio nome è Nathan Redo e che oggi, per difendere la terra della libertà, ucciderete un vero theriano libero.


Fine

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