6 mar 2016

Il diamante più bello

Mentre lavoro a nuovi progetti ho pensato di ridare una spolverata a uno dei racconti che avevo precedentemente inserito nel blog: "Il diamante più bello". Per chi non l'avesse già letto anticipo che è leggermente meno lungo di "Miraggi" (ho comunque numerato i paragrafi), che l'ambientazione richiama, senza pretese di storicità, la colonizzazione europea delle americhe (qui gli europei non sono inglesi o spagnoli ma francesi) e che il tema principale è il valore delle cose
La storia non è adatta ai bambini
Vi lascio al racconto:

Il diamante più bello


Diamante.
Lucente stella mutevole bramata dall'occhio avido.
Stretto nel palmo fino a sanguinare
evochi un dubbio mortale.
Senza celare
il palmo si apre
e vola via la polvere fatale.

(1) Era appena uscito dalla sala da ballo.
Andò a poggiare le spalle contro la parete più vicina, socchiuse gli occhi e sbuffò.
Che terribile branca d’idioti.
Avrebbe preferito non dovervi passare assieme tutto quel tempo, ma era obbligato a farlo, sopportando falsi sorrisi e proferendo saluti e inchini cortesi, quando, in cuor suo, avrebbe voluto esclusivamente mandarli tutti al diavolo.
Le poche battute sottili e ironiche che poteva permettersi non erano sufficienti a placare il suo desiderio di prenderli a pedate nel posteriore. Se anche i titoli li rendevano nobili, suoi parigrado, erano esclusivamente dei rozzi beceri ben vestiti.
Erano inferiori. Degenerate capre ignoranti benedette dalla cieca fortuna di godere di palate di denaro, che sperperavano, scialacquavano, dilapidavano senza alcun contegno, senza un progetto, senza una logica che non fosse quella di compiacere i loro culi regi fino a riempire di toppe le braghe, per poi domandarsi, con sguardo da beoti, come fosse potuto accadere.
Alexandre cercava di sfogare tutta la propria frustrazione in quei pensieri. Sbuffò ancora, irritato, e si sistemò i corti capelli biondi con la mano destra.
I suoi occhi, di un intenso verde smeraldo, si soffermarono sul braccio. La sua divisa rossa era sporca. Una grossa chiazza scura si spandeva e non aveva la benché minima idea di cosa l’avesse causata.
«Che siano dannate quelle cameriere incompetenti e figlie di tro…»
«Succede qualcosa?»
Alexandre ebbe quasi un colpo. Pensava di essere solo. Era talmente distratto da non accorgersi che qualcuno aveva riaperto la porta della sala da ballo. Almeno fino a quando questi non gli aveva rivolto parola.
Era un giovane, come lui, con i capelli castani non troppo scuri e legati in una corta coda da un nastro blu. Gli occhi erano azzurri e l’espressione cortese. L’opposto della marcata presunzione di Alexandre.
Portava anch’egli una divisa. Il tessuto era di un colore simile a quello del nastro e le decorazioni e le spalline argentate.
«…Christophe!»
Conosceva bene quel ragazzo. Erano amici d’infanzia e avevano condiviso la maggior parte dell’esperienze, compresa l’accademia militare; in seguito alla quale, Alexandre era divenuto un generale di sua maestà il re e Christophe il vice del suo reggimento.
Erano i più giovani del regno a ricoprire incarichi di così alto prestigio.
«Ecco dov’eravate finito.» asserì pacatamente Christophe «La contessa Elenoire vi stava cercando. A dire il vero sembrava piuttosto seccata. Sosteneva le aveste concesso il ballo seguente, per poi defilarvi.»
Alexandre si portò una mano alla fronte.
«Quell’oca può pure cercarsi un altro papero, se non la smette di starnazzare in quel modo. Potrà pure essere avvenente, ma non la tollero più di cinque minuti!»
Christophe rivolse lo sguardo verso l’interno della sala.
«Quell’oca sta venendo in questa direzione, a cercarsi un papero, temo.» Alexandre percepì un brivido lungo la schiena.
«Chiudete la porta, presto! Chiudetela, dannazione!»
La porta venne sbattuta sonoramente e il giovane generale rimase immobile, schiacciato contro la parete per non emettere alcun suono. Dall’altro lato si udirono le parole di Christophe, attutite dal muro:
«Sfortunatamente non era qui, madame.»
Seguì un’acuta risposta. La voce era stridula e pretenziosa. Probabilmente, ogni oggetto in vetro della villa tremava a ogni sillaba pronunciata dalla giovane donna.
«Con chi stavate parlando, allora?» domandò la contessa, sospettosa.
«Parlando?» Christophe tentennò, mentre Alexandre cominciava a domandarsi se fosse il caso di allontanarsi di soppiatto lungo il corridoio.
«Stavo, in effetti, chiamando il generale per nome, così da verificare se fosse nelle vicinanze.»
Sopravvivere al fronte era senza dubbio più semplice che accampare scuse a una nobile viziata. 
«L’avrete fatto scappare, allora, quell’ingrato bugiardo!»
Alexandre assunse un’espressione indispettita.
«Suvvia…» accennò Christophe «...non penserete realmente che il generale volesse offendervi?»
Il tono del ragazzo pareva accomodante e sincero, erano le sue parole a risultare poco credibili. La contessa, infatti, gli lanciò un’occhiataccia scettica.
«Voi mi nascondente qualcosa, comandante!»
«Io?» prese tempo Christophe «Sia mai, madame! Vedrete che il generale avrà avuto un malore, o comunque sarà accaduto qualcosa che l’avrà costretto ad allontanarsi.»
Alexandre ebbe un’illuminazione.
Si mosse lentamente verso la porta, in modo da non essere udito, prese un bel respiro e poi scattò verso di essa, spalancandola.
Quasi colpì alle spalle Christophe, ma in quel momento si preoccupava principalmente di apparire allarmato e al contempo deciso.
«Oh, cielo!» esclamò con la professionalità di un attore teatrale «Christophe, mio caro amico. Per fortuna siete qui!»
Alexandre poggiò le proprie mani sulle spalle del comandante, fissandolo con uno sguardo grave e intenso.
Di certo, la contessa Elenoire, era rimasta stupita da un’entrata in scena così irruenta, la sua vera natura, però, riemergeva rapidamente. Stava già per rivolgersi ostilmente al generale, ma questi l’anticipò.
«Oh, Elenoire!» esclamò, poggiandole soavemente il palmo della mano sulla bocca; con eleganza, ma anche con la forza necessaria a farla tacere. «Dovete perdonarmi, madame, ma il nostro dovere ci obbliga a sottrarci a questo così piacevole evento!»
Christophe, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, cominciò ad assecondare il generale:
«Cosa è accaduto? Ditemi!»
Alexandre colse la palla al balzo:
«Questioni di sicurezza nazionale! Dobbiamo andare!»
Senza concedere alcun tempo alla contessa per obiettare, toltale la mano dalla bocca, Alexandre le baciò la sua con un gesto fulmineo e un ammiccamento, che lui sapeva essere di derisione. Dopodiché, i due soldati, diedero le spalle alla sala e si allontanarono con fare deciso.
Appena sufficientemente distanti, rallentarono immediatamente.    
«Un altro nemico sconfitto, generale.» sorrise Christophe «Penso riceverete una medaglia di qualche genere. Ve la siete meritata.»
Alexandre ridacchiò.
«Non è stato facile amico mio, non lo è stato per niente. Ricordatemi d’inviare in regalo al conte abbastanza tabacco da affumicargli il cervello, così che non ascolti qualsiasi idiozia sul mio conto di cui cercherà di convincerlo sua moglie.»
«Potrebbe comunque apprezzare che siate uno dei pochi fra i suoi ospiti che non hanno contribuito all’incrementarsi delle sue corna.» ribatté Christophe.
«Oh, credetemi… in quel caso sarebbe stato tutto molto più semplice!»

(2) I due amici continuarono a discutere anche a cavallo, lungo il percorso verso la residenza di Alexandre.
Quell’edificio invidiabile si elevava per tre piani, aveva numerose stanze, servitori e un vasto giardino splendidamente curato.
Christophe risiedeva là, con una stanza vicina alla sua. Il generale riteneva prudente circondarsi di persona fidate e non c’era qualcuno di cui si fidasse più di lui.
Si separarono dopo aver lasciato i destrieri alla stalla.
Giunto alla sua camera, Alexandre si spogliò della divisa rossa. Le decorazioni dorate e le medaglie al valore tintinnarono mentre l’adagiava sul letto a due piazze.
Si avvicinò alla scrivania e fra le mani prese la bottiglia di un vino rosso d’ottima annata, che si concedeva di gustare raramente. Vi riempì un bicchiere lungo e stretto in vetro decorato e lo portò alla bocca mentre si avvicinava alla finestra.
La luce era fioca, di fronte alla notte incombente, ma il suo sguardo cercava comunque di spingersi oltre, mentre il suo pensiero s’interrogava su questioni passate e future, su nuove possibilità e traguardi.
«E così, quei selvaggi, hanno fra le mani più di quel che sanno.» pensò.
«Sempre che il conte abbia ragione. Ma anche se lui è uno stolto, gli occhi avidi di quegli esperti al suo fianco erano convincenti.»
Si concesse un altro sorso di vino.
«Mobilitare la mia guarnigione… ne ho l’autorità, certo; e i selvaggi sono sempre pericolosi, non servono grandi giustificazioni per farli sgomberare. Alla luce del fatti, però, un intervento non è così urgente, qualcuno potrebbe insospettirsi.»
Sogghignò.
«Avrei potuto suggerire al conte di far prendere in ostaggio sua moglie. Sarebbe stato divertente!»
Mandò giù un sorso ancora.
«No. Mi devo inventare qualcosa. Un solo passo falso, un sospetto di troppo, e la miniera finirà in altre mani. Tanto varrebbe sbandierarlo.»
Qualcuno bussò alla porta con forza e Alexandre si voltò immediatamente, seccato.
«Cosa c’è?»
«Signore, un uomo chiede di vedervi. È in uniforme. Dice di chiamarsi Léandre.» rispose titubante una delle sue cameriere.
Alexandre aggrottò le sopracciglia.
«Che diavolo vuole quell’incompetente di Léandre a quest’ora?» pensò irritato.
«Fallo attendere all’ingresso. Digli che sto arrivando.» ordinò alla serva. Il suono dei suoi passi confermò che stava andando a fare il proprio dovere.
Il generale indossò nuovamente e di malavoglia la divisa. Era casa sua, ma non aveva certamente intenzione di presentarsi in una veste poco dignitosa. Uno come Léandre poteva aspettare senza problemi.
Appena pronto s’incamminò fuori dalla stanza. Christophe lo attendeva poco più avanti.
«Ora un po’ strana per una visita, non trovate?»
Il comandante stava armeggiando con una pistola a un colpo, appena caricata. Alexandre sorrise e gli poggiò una mano sulla spalla.
«Adoro il vostro istinto, atto a prevenire i pericoli. Ma dubito fortemente che, un idiota come Léandre, sia capace di spingersi così in là nella propria stupidità.»
Il comandante rimase serio.
«Proprio perché un idiota, non mi fido. Può essere plagiato facilmente.»
Alexandre ebbe un’illuminazione e strinse la spalla dell’amico con forza.
«Voi siete un genio!»
Christophe l’osservò dubbioso.
«Non vi preoccupate e seguitemi.»

(3) Scesero due scalinate, fino a raggiungere la sala d’ingresso. Lì li attendeva, seduto su una bianca panca pregiata, un ragazzo in una divisa militare logora, tendente al verde scuro.
Aveva dei lunghi capelli bruni un poco arruffati e dimostrava bene o male la loro età, ma il suo atteggiamento palesava una forte insicurezza, vera e propria soggezione, che lo poneva automaticamente al di sotto della loro aura di comando.
Appena li sentì arrivare alzò gli spaventati occhi castani verso di loro. Titubò, poi si sollevò di scatto dalla panca e li salutò come si conveniva a dei superiori.
Alexandre teneva le mani congiunte dietro la schiena, Christophe gli era a fianco, con la pistola in vista.
Léandre, notandola, deglutì.
«Si…signore, comandi!» farfugliò.
Il generale rimase perplesso.
«Comandi?» domandò «Sei tu che hai chiesto udienza, soldato. Non ti ho convocato io. Che devi dire? Parla!»
Si divertiva a mostrarsi autoritario, specialmente con qualcuno così confuso e intimidito.
«Io…» accennò questi «Io… ecco…»
«Il generale ti ha fatto una domanda.» ribadì Christophe.
«Sono qui a offrirvi il mio contributo, generale!» esclamò Léandre tutto d’un fiato.
Alexandre trattenne a stento una risata.
«Di che parli? Per cosa pensi necessiti del tuo contributo?»
Léandre rimase spiazzato.
«Ecco…» iniziò «Ho… ho sentito una cosa, e ho pensato che...»
Christophe scattò in avanti, puntandogli la canna della pistola sotto il collo.
«Cos’hai sentito? Stavi forse origliando, soldato?»
Léandre sbiancò per il terrore, e cominciò di botto a parlare scorrevolmente:
«Non volevo origliare, signore. Giuro! Ero al ricevimento del conte Leroy. Per la sorveglianza. E ho sentito la contessa parlare di una questione di sicurezza nazionale, dire che vi eravate dovuti ritirare di fretta dal ricevimento. Voglio solamente dare una mano, signore. Non mi spari, la prego!»
Alexandre non riuscì a evitare di ghignare.
«Credi davvero di poter dare una mano a qualcuno, tu? Codardo quale sei?»
Il comandante stava già cercando, a suo modo, d’evitare che quella storia si diffondesse troppo, ma non sapeva cosa balenasse nella mente del suo generale.
«Invece può esserci utile.» sussurrò Alexandre.
Christophe si voltò a osservarlo, confuso. Gli occhi di Léandre s’illuminarono.
«Sorvolerò sulla tua intromissione in faccende che non ti riguardano, soldato.» accennò il generale, mentre la pistola veniva riposta e Léandre si acquietava «Dopo tutto, hai dimostrato spirito d’iniziativa. E quest’audacia non deve andare sprecata, vero comandante?»
Christophe, ancora confuso, cercò di non darlo a vedere.
«Senza dubbio, generale.»
«Mio caro Léandre, questa notte diventerai un patriota!»
Alexandre gli strinse saldamente le spalle con le mani.
Il soldato annuì con una punta di timore e incertezza.

(4) «Oh cielo… siete un demonio!» rise Christophe «Siete certo che quello stolto non finirà per farsi ammazzare?»
Alexandre scosse la testa, confidentemente. Léandre se n’era appena andato con la sua nuova missione.
«È troppo codardo per riuscire a fare qualcosa di avventato» assicurò.
«Ma voi lo avete caricato con discorsi così patriottici!» controbatté Christophe.
«Gli uomini non cambiano. Lo sapete bene. Il coraggio di un soldato resta integro fino a che si fa vittorioso. Al primo segnale di sconfitta, chi era coniglio torna coniglio, e chi era leone, beh… dipende da quanti conigli ha attorno.»
Il comandante annuì.
«Ma allora perché mandarlo dai selvaggi che controllano la miniera? Pensate davvero che possa ottenere qualche informazione vantaggiosa? Non capirà nemmeno quello che dicono, e da ciò che sostenete voi, sarà impegnato a nascondersi in un cespuglio.»
Alexandre scosse ancora la testa.
«Non m’interessa ciò che farà. M’interessa che sia là. M’interessa che i selvaggi abbiano preso in ostaggio un soldato, comandante.»
«E che il nostro reggimento sia costretto a intervenire per riprenderselo.» concluse sorridente Christophe.
«Precisamente.»

(5) Il mattino seguente la guarnigione venne allertata.
Il soldato Léandre Gaillard, in missione speciale per sua maestà il re, non aveva contattato i suoi superiori nei tempi prestabiliti.
Si supponeva che, dato il pericolo insito nello spiare e riferire i movimenti dei selvaggi, spostatisi nelle montagne a nord ovest, il soldato fosse finito preda degli stessi, provando la pericolosità del gruppo di nativi.
Per prevenire nefandezze di costoro in vicinanza della città, o sventuratamente nella città stessa, e per recuperare l’eroico Léandre, il primo e terzo reggimento cittadino sarebbero stati mobilitati per reprimere la minaccia con la forza, guidati dal generale Alexandre Lois Laurent e il comandante Christophe Raoul Mathieu.

(6) Furono presto a cavallo.
Un centinaio di soldati armati di fucili e baionette si trovavano alle loro spalle.
Sarebbe stato un gioco da ragazzi ripulire la zona e presidiarla in attesa d’informare il conte Leroy.
Avrebbero potuto mangiare sugli utili della miniera per qualche tempo, prima che la cosa venisse ufficializzata, e dato che sarebbero stati loro a rivelare il fortuito ritrovamento, nessuno avrebbe potuto accusarli di niente.
Un conto era la fedeltà alla patria, difenderla con le armi e difendere i suoi interessi in terre che avevano usurpato ai selvaggi, un conto era avere a che fare con una miniera di diamanti.
Potevano variare esclusivamente gli avvoltoi che ne avrebbero approfittato, per poi farsi belli di fronte al re, che non avrebbe di certo diviso.
Se doveva cadere tutto nelle mani dei soliti nobilotti, incapaci di gestire le loro stesse braghe, sarebbe stato uno spreco. Alexandre non poteva più tollerarlo.
Leroy aveva le informazioni e gli esperti, ma aveva bisogno del suo intervento e dei suoi soldati per mettere il piano in pratica.
Si sarebbero divisi il ricavato e, col rischio che l’altro spifferasse tutto, non potevano fregarsi a vicenda.
I soldati non sapevano nulla, ovviamente. Soltanto Christophe era a conoscenza della verità, e lui non contraddiceva mai l’operato di Alexandre.
I diamanti, in tasca loro, non sarebbero stati sprecati. Poi, il re e i suoi prediletti avrebbero dilapidato tutto, come al solito; ma, prima, dovevano ottenere quel che gli spettava, almeno quello.

(7) Raggiunsero i monti in poco tempo.
«Ho mandato un paio di uomini in avanscoperta, generale.» riferì Christophe.
«Pare che i selvaggi siano poco più di una trentina. Se anche gliene fosse sfuggito qualcuno, ipotizzerei non possano essere più di quaranta. Si sono appostati prevedibilmente in un punto rialzato, e neanche un terzo sono armati: archi, lance, un paio di fucili rubati. I rimanenti sono giovani, donne o anziani. Un piccolo gruppo nomade, coi suoi difensori, ma privo di un significativo potenziale ostile.»
Alexandre annuì.
«Circondiamo il perimetro della loro base, lasciando un’apertura dalla quale possano scappare; poi apriamo il fuoco. Non è necessario colpire quelli non ostili. Ammazzate quelli coi fucili e gli altri armati, se opporranno resistenza. Pensò che due scariche in aria li terrorizzeranno a sufficienza.»
Questa volta fu Christophe ad annuire.
Un grido in lontananza attirò l’attenzione di Alexandre.
«Generale! Generale!»
Vide un soldato con una divisa logora, tinta di verde scuro, con rametti e foglie incastrati fra i capelli.
Léandre, reggendo il fucile in una mano, agitava l’altra, mentre correva in direzione delle truppe e del generale.
Alexandre scosse la testa.
«Abbiamo salvato l’eroe della patria.» sussurrò ironicamente Christophe.
«Fatelo passare!» ordinò il generale, inducendo i soldati a fargli largo.
Léandre raggiunse i loro cavalli ansimando e reggendosi le ginocchia.
«Non pensavo di rivedervi così presto, generale.» esordì «Dato che mi avevate ordinato di restare per…»
«Sì, sì, ricordo bene i tuoi ordini.» tagliò corto Alexandre.
Léandre tentennò, poi riprese il discorso, sembrava avesse qualcosa di urgente da riferire:
«Signore, ho scoperto una cosa incredibile. Veramente incredibile!» Comandante e generale si osservarono.
«Cos’hai scoperto, soldato?» domandò Christophe.
«Forse è meglio che lo dica a bassa voce.» sussurrò Léandre, riflessivo.
Si avvicinò più che poté, ed entrambi s’incurvarono per ascoltarlo:
«I selvaggi hanno un diamante grosso come un pugno chiuso. È il diamante più bello che abbia mai visto.»
Esitò.
«A dire il vero credo sia, l’unico, diamante che abbia mai visto.»
Alexandre deglutì, e i suoi occhi verdi brillarono d’avidità, la stessa che aveva osservato negli occhi dei servitori del conte Leroy.
«Grande come un pugno, dici?» chiese incantato.
«E di notte brillava come una stella, signore. Uno spettacolo.»
«Comandante, modificherò il mio ordine!» esclamò con forza Alexandre.
«Circondate completamente il perimetro e catturate tutti i selvaggi. Ammazzate quelli che opporranno troppa resistenza.»
Christophe titubò. Non era da lui. Non controbatteva mai agli ordini, mai. Non le fece neanche questa volta.
L’ordine venne gridato agli uomini, la marcia scandita, i fucili caricati.

(8) Non fu una battaglia.
Ai primi spari, gli uomini selvaggi dalla pelle rossa, sbucarono dalle rocce per tirare le loro frecce, lance e imprecisi colpi di fucile.
Due furono freddati immediatamente.
Quando alla seconda raffica di spari ne caddero altri tre, dilagò il panico. I soldati non trovarono più resistenza e poterono bloccarli uno a uno. Bambini, donne e anziani, riparatisi a terra per paura dei fucili, furono presi più facilmente di tutti.
«Abbiamo trentadue prigionieri, generale. Adesso cosa intendete fare?»
Christophe sembrava irrequieto. Alexandre lo squadrò con una punta d’irritazione.
«Perquisiteli!» ordinò «Fatelo voi stesso, con l’aiuto di Léandre. Non voglio che ciò che cerchiamo cada nelle mani sbagliate.»
Il comandante annuì, mentre il generale lo squadrava ancora.

(9) «Non abbiamo trovato alcun diamante.» asserì più tardi e con tono piatto Christophe.
«Cosa?» strepitò Alexandre.
«Nessun diamante, generale.»
«Mi hai forse mentito, brutto idiota?»
Il generale si rivolse aspramente a Léandre, che già tremava.
«Po… posso giurarvi di averlo visto! Lo… lo avevano con loro.»
«E allora dov’è? Ve lo siete intascato?»
Christophe aggrottò le sopracciglia, mentre Léandre continuava a giustificarsi:
«I… il selvaggio che lo aveva non è fra i prigionieri!»
«Controllate i cadaveri, allora!» ordinò Alexandre.
«No… non è nemmeno tra loro.»
«Quindi te lo sei sognato?»
Il generale oramai era su tutte le furie.
«Pensa si sia nascosto in una delle lunghe grotte in cui vivevano.» rispose per lui Christophe, a braccia conserte.
«Come possiamo esserne certi?»
L’ira di Alexandre cominciava a mutare in sconforto.
«Se fosse fuggito in campo aperto lo avremmo avvistato. L’avanscoperta, per mio ordine, teneva sotto controllo un cerchio più ampio. Se era qui, vi si trova ancora, non c’è dubbio.»
Christophe rispose sicuro e orgoglioso e Alexandre riprese a sorridere.
«Posso sempre fidarmi, di te.»
Il comandante annuì, ma senza dimostrarsi lusingato.
«F… forse posso a… aiutare anch’io.» s’intromise Léandre.
Il generale l’osservò scettico.
«U... una delle giovani selvagge passava molto tempo con l’uomo del diamante. Fo… forse erano amanti.»
Alexandre scosse il capo.
«Lo troveremo da soli.»
Christophe, al contrario, indugiò.
«Quelle grotte potrebbero essere pericolanti e non sappiamo quanto si spingano in profondità. Con quello che c’è in palio dobbiamo occuparcene noi e avere una guida sarebbe vantaggioso.»
Alexandre gli prestò attenzione.
«La ragazza potrebbe sapere precisamente dove si trovi l’uomo, o persino conoscere il luogo dove ha nascosto il diamante. Ci farebbe risparmiare molto tempo, e temo che i nostri soldati si insospettiranno rapidamente.»
Il generale si soffermò a riflettere.
«Dovremmo comunque convincerla a parlare, e in privato.»
Léandre intervenne timidamente:
«Si… signore, voi avete fama d’essere un do... donnaiolo. L… la ragazza è bella, per essere una selvaggia. Come generale potreste reclamarla per voi e agli uomini non sembrerebbe strano. L… lei potreste sempre persuaderla.»
Avevano coinvolto quel sempliciotto nei loro affari senza quasi rendersene conto. Ad Alexandre le sue ultime parole non furono sgradite.
«Credevo che la tua zucca vuota non fosse capace di questo! Ovviamente ci accompagnerai dentro la grotta.»
Léandre annuì con entusiasmo.
«È il caso di tenerlo d’occhio…» sussurrò il generale a Christophe, mentre il sempliciotto li precedeva.

(10) I tre raggiunsero i prigionieri e la ragazza descritta da Léandre.
I suoi polsi erano stati legati con della corda, come agli altri selvaggi. Teneva il capo chino.
La sua pelle era rossa, come di norma per la sua gente. I capelli erano lunghi fino a poco oltre le spalle e di un nero intenso. Le forme del suo corpo palesavano che fosse giovane e in forma.
Gli abiti di panno erano sporchi di terra; durante la sparatoria doveva essersi accasciata al suolo come molti altri.
Una collana di pietre colorate, di poco valore, ne adornava il collo fine.
«È… è lei!» esclamò Léandre.
«Portatela qui, allora.» ordinò il generale.
La giovane alzò il viso, rivolgendogli lo sguardo.
Aveva gli occhi azzurri, chiarissimi, più intensi di quelli di Christophe. I tratti del suo viso erano il frutto di una mescolanza fra quelli dei selvaggi e degli invasori. Il risultato era sbalorditivo: un volto dai tratti noti e al contempo esotici, misteriosi e per questo affascinanti.
Era improbabile che fosse nata al seguito di un rapporto voluto. Era molto più probabile che fosse la conseguenza di uno stupro.
Quando la ragazza venne condotta via, i soldati già sogghignavano e discutevano fra loro.
L’idea di Léandre aveva funzionato, e divenne vincente quando, Christophe, annunciò agli uomini che il generale doveva ritirarsi in privato.
Diede comunque l’ordine di mettere in piedi il campo per la notte, poiché già sapevano che avrebbero mantenuto il presidio.
Un paio di soldati, invece, ricevettero l’ordine di tornare in città a consegnare un breve messaggio al conte Leroy: il generale lo informava di aver avuto successo.
Ora, Alexandre, sapeva di dover far ricorso a le sue doti per asservire la ragazza. Conosceva un po’ dell’idioma dei selvaggi e pensò di esordire con una serie di rassicurazioni riguardo alle sue intenzioni.
Lei lo anticipò, peraltro, parlandogli nella sua stessa lingua, correttamente, seppur con un marcato accento straniero:
«Cosa vuoi da me?»
La domanda era semplice, posta senza paura, persino sdegnosa.
Alexandre si limitò a fissarla e questa parve stizzirsi ancor di più. Indietreggiò di qualche passo, come se temesse che le saltasse addosso da un momento all’altro.
«Come ti chiami?» le domandò il generale, incrociando le braccia.
«Aquene, significa pace.»
Il tono della ragazza sembrava tutt’altro che pacifico.
«Perfetto.» si fece avanti lui «Io voglio la pace, Aquene, e non intendo farti del male. Sempre se tu…»
«Sempre qualcosa, volete voi!» lo interruppe la ragazza ostilmente «Distruggete le nostre case e le fate vostre, uccidete gli uomini e violentate le donne, rubate la terra e la maltrattate, e questo non vi basta! Come se fossimo noi i debitori, continuate a chiederci qualcosa. Con che coraggio chiedete? Con che coraggio pensi che io ti sia debitrice e debba fare qualcosa per te?»
Non era l’inizio che Alexandre auspicava.
Quella ragazza possedeva una carica d’odio difficile gestire, ma il generale confidava di avere ancora delle carte da giocare.
«C’è un uomo, fra la vostra gente, un uomo che non abbiamo preso.» accennò, ignorando le sue parole «Un uomo che aveva una grande pietra lucente, come quelle che porti al collo, ma molto più grande.»
Aquene non lo degnava di uno sguardo.
«Io voglio quella pietra e so che quell’uomo è ancora qui, in una delle vostre grotte. Se tu mi aiuti a trovarlo e a trovare la pietra, dopo potrete andarvene tutti, liberi.»
La ragazza sbuffò sdegnosa.
«Se tu non mi aiuti, invece, quando lo troviamo lo ammazziamo e così faremo con tutti i prigionieri.»
Alexandre sapeva che le sue doti da dongiovanni servivano a poco, in quella circostanza. La ragazza era ostile e decisa, molto più di quello che si aspettava da una selvaggia. L’unica maniera che aveva per persuaderla ad aiutarli era tramite delle minacce concrete.
Gli occhi di Aquene si accesero d’odio. Sembrava stesse per esplodere, ma le mani erano legate. Si guardò attorno pensierosa e agitata, senza rispondere.
«Voglio la pietra, Aquene.» ribadì Alexandre «E dopo avremo la nostra pace.»

(11) L’aveva convinta.
Pur con riluttanza, la ragazza selvaggia aveva deciso di aiutarli.
Indicò ad Alexandre la grotta nella quale l’uomo si nascondeva, la stessa grotta dove sosteneva avessero trovato la pietra luminosa assieme a tante altre più piccole.
Il generale riferì ogni cosa a Christophe e Léandre, con occhi avidi.
Si avventurarono tutti e quattro nella grotta.
I polsi di Aquene erano ancora legati.
La grotta era molto buia e la ragazza rivelò loro dove custodivano delle torce rudimentali. Ne accesero due, le impugnarono Christophe e Léandre. Alexandre, invece, assunse il compito d’impedire alla selvaggia di fuggire o fare strani scherzi.
La grotta era particolarmente irregolare, si stringeva e allargava costantemente, sembrava molto profonda e il livello del terreno scendeva gradatamente.
Léandre sdrucciolò in avanti, rischiando di cadere.
«Più avanti ci sono delle aperture: fossi.» dichiarò Aquene «Se siete così goffi ci cadrete dentro.» aggiunse provocatoria.
«Ringrazia se non ci buttiamo te.» le rispose Alexandre, intimidatorio. Poi si girò verso Christophe, divertito.
Quello scosse la testa, non comprendendo dove stesse lo spasso.

(12) Come anticipato dalla ragazza, sui lati della grotta apparvero due larghi fossati. Quello a destra pareva infinito, l’altro proseguiva per circa sei metri, e sul fondo erano visibili formazioni rocciose acuminate.
Il terreno era sempre più inclinato. Tutti loro cominciarono a camminare più quatti, per mantenersi stabili.
Questa volta fu Aquene a sdrucciolare. L’insistente vicinanza del generale minava il suo equilibrio. Fu proprio lui ad afferrarla saldamente mentre cadeva all’indietro.
«Dove cercavi di andare?» domandò ironico.
Aquene si lamentò con un verso.
«Potreste anche liberarmi da queste.» affermò mostrando le corde «Vi sto guidando e dicendo tutto. Volete farmi cadere giù?»
Alexandre osservò Christophe, che scosse il capo. Léandre si guardava attorno, come se la cosa non lo riguardasse.
Alexandre indugiò, mentre Aquene lo fissava.
Era sempre adirata con lui, era scontato, ma in quel momento c’era un che di supplichevole nel suo sguardo.
Christophe percepì in qualche modo i pensieri del generale e cominciò a chiedersi se la prigioniera fosse furba come temeva.
«Credo di poter tenere sotto controllo una ragazzina.» decretò Alexandre.
Aquene venne liberata dai legacci.

(13) «Chi è l’uomo che si nasconde nella grotta?»
Alexandre pose la domanda mentre riprendevano il cammino. La ragazza si massaggiava i polsi arrossati.
«Il vostro capo tribù? Un semplice guerriero o un qualunque nomade codardo?»
Aquene aggrottò le sopracciglia, ma dopo un sospiro gli rispose:
«È colui che ci guida. È colui che ci avrebbe portato lontano da qui, oggi, prima che arrivaste voi a impedircelo.»
Il generale rimase sorpreso.
«Andarvene? Perché volevate andarvene? Vi siete insediati qui da poco.»
«Questa è la nostra terra. È nostro diritto stare qui.» specificò fieramente Aquene «Ma poi abbiamo trovato la pietra che cerchi.» riprese amaramente «E lui sapeva che questo vi avrebbe attirati, che vi avrebbe condotti a distruggerci, anche se siamo in pochi, soltanto per avidità.»
Alexandre esitò.
«Siete consapevoli del valore della pietra?»
«Non siamo degli stupidi. Questo continuate a credere, e questo vi fa pensare di poterci fare quello che volete. Perché siamo bestie, ai vostri occhi. Ma le bestie siete voi, che vi uccidete per una pietra luminosa, anziché dare il giusto valore alle cose, il giusto valore alla vita.»
Quelle parole, pronunciate con forza e convinzione, scossero Alexandre. Non era abituato a sentire qualcuno rivolgersi a lui con quella sincerità e se si voleva, impudenza. Era abituato agli inganni, agli interessi personali, ai complotti politici, le lotte di potere.
Ben pochi, fra quelli che conosceva, davano un valore alla vita altrui. Solo alla propria. E così si era adattato a fare lui, per sopravvivere e aspirare a qualcosa.
«Non pensava sareste arrivati così presto. Ma così è stato.» concluse tristemente la ragazza «E ora tutto quello che lui diceva si è avverato. Voi siete qui, e quella pietra luminosa, bellissima, verrà cosparsa di sangue. Del nostro sangue, del vostro sangue, del tuo e del mio sangue.»
Aquene lo fissava dritto negli occhi. Alexandre rimase paralizzato. Anche se appariva disillusa, la ragazza continuava ad augurarsi che quel ragazzo bianco riuscisse a comprendere nel profondo le sue parole.
«Do... dovremmo proseguire, generale.» intervenne Léandre.
Alexandre esitò ancora un poco. Lei continuava a fissarlo.
«S… sì, proseguiamo.» decretò, sottraendosi al suo sguardo.
«A breve arriveremo all’ultima parte della grotta. Là, troverete la vostra pietra preziosa.» dichiarò mestamente Aquene.
«Bene.»
Christophe parve rasserenarsi.
La grotta tremò improvvisamente. Una parte del terreno roccioso appena sotto Léandre si spaccò, portando il soldato a cadere in avanti, addosso al suo generale. La botta fece perdere l’equilibrio anche ad Alexandre, che senza appigli, si ritrovò a cadere all’indietro, verso il fossato.
Christophe gridò il suo nome, mentre cercava di superare Léandre, ma era chiaro che non avrebbe fatto in tempo a raggiungerlo.
Alexandre cadde nel vuoto.
Una mano afferrò la sua e una seconda si strinse al suo polso.
Era Aquene.
Il contraccolpo fece cadere la ragazza a terra, mentre con tutte le sue forze stringeva il braccio del generale sospeso nel vuoto. Non poteva resistere a lungo, ma il tempo sufficiente a permettere a Christophe di aiutarla.
Il generale venne tratto in salvo, sconvolto, mentre sia il comandante che la ragazza ansimavano per la fatica.
Léandre li osservava terrorizzato, col timore che qualcuno gli si avventasse contro.
Pensavano ad altro.
«Perché lo hai fatto?» furono le prime parole di Alexandre, in preda all’incomprensione.
«Ho minacciato te e la tua famiglia, non avevi nessun motivo per salvarmi, nessuno!»
Aquene lo fissò negli occhi, profondamente. Il suo era uno sguardo deciso. Non benevolo, non dolce, esclusivamente fiero.
«Perché il mio popolo e io diamo il giusto valore alla vita. Perché il mio popolo e io, per quanto possiate farci soffrire, non siamo come voi.»
Alexandre percepì un fremito.
«Ti ammiro...» sussurrò senza pensare.
Il generale era visibilmente scosso e Christophe decise di prendere in mano la situazione, spingendoli a proseguire.

(14) Raggiunsero l’ultima sala della grotta. Vi trovarono un uomo dalla pelle rossa, con una lancia in mano, i lunghi capelli neri e gli occhi grigi. Era piuttosto anziano.
Teneva salda, sotto il braccio, una pietra luminosa, che anche in quell’oscurità la fiamma della torcia rendeva sfavillante.
Era grande quanto un pugno, il diamante più bello che si fosse mai visto, e di sicuro il più prezioso.
Aquene si fece avanti e gli parlò. Furono parole brevi, ferme. L’uomo la osservava incerto. Non le rispose.
Era spaventato, non per sé, per la sua gente.
Abbassò la lancia.
«Gli ha detto che li lasceremo liberi, se ci darà la pietra.» sussurrò Alexandre a Christophe.
«Lo faremo davvero?»
Il generale sospirò.
«Sì... lo faremo davvero.»
L’anziano capo nomade poggiò la pietra a terra, ai piedi di Alexandre.
Il generale s’inchinò e l’afferrò. La strinse col palmo osservandone le sfaccettature.
Era davvero splendida.
Attraverso il cristallo trasparente vide gli occhi di Aquene, così fieri anche nell’umiliazione, così fieri anche nella sofferenza.
Davvero splendida…

(15) Due spari risuonarono nell’aria. Due colpi secchi, assordanti.
Alexandre si gettò a terra, chiudendo istintivamente gli occhi. Quando li riaprì il diamante che stringeva era ricoperto di sangue, così come il suo viso.
Aquene era accasciata contro la parete della grotta, la testa riverso al suolo, al suo fianco il capo della tribù, a terra, immobile.
Erano stati uccisi da quei colpi, entrambi.
Percepì un rumore, distorto dalla confusione, il rumore prodotto da qualcuno che lascia cadere qualcosa.
Christophe era frastornato quasi quanto il suo generale.
Léandre aveva appena fatto cadere a terra due pistole a un colpo, ora inutili. Le sue mani strinsero il fucile. Approfittò della confusione e corse verso il comandante, conficcandogli la punta della baionetta nel fianco.
Alexandre si voltò di scatto. Impallidì.
Christophe stava sputando sangue dalla bocca. Si accasciò contro un’altra parete rocciosa.
Léandre si voltò verso il generale, con la baionetta sporca. Era il prossimo.
Alexandre ebbe il tempo di estrarre il fioretto che portava al fianco, più ornamentale che altro. In questo caso non lo sarebbe stato.
Il soldato l’osservava preoccupato, ma non quanto Alexandre si sarebbe aspettato. Quello non era lo sciocco Léandre che ricordava.
Il soldato avrebbe potuto sparagli, ma sarebbe stato abbastanza rapido? Erano molto vicini, forse con una stoccata lo avrebbe colpito per primo.
«Perché?» gli strillò Alexandre con angoscia.
«La contessa Elenoire, signore.» rispose il soldato. Era visibilmente teso ma allo stesso tempo sprezzante, sembrava compiacersi di farsi beffe del generale.
«Suo marito non è abbastanza furbo da tenerla all’oscuro dei suoi piani, e quando l’altra notte sono venuto a casa vostra sapevo benissimo della miniera, come sapevo che pensavate fossi uno stupido. Beh, questo stupido ora otterrà il suo! Sono io ad avervi sfruttato, signore. Io!» sputò le ultime parole col gusto di una vendetta cercata da tempo, come una rivalsa nei confronti non solo del generale ma di una vita intera.
«Intendi tenere il diamante per te, quindi?» gli domandò Alexandre.
«Metterò fuori gioco anche il conte Leroy, se voglio, e la contessa Elenoire sarà soltanto mia. Mi ha promesso il suo amore, se l’avessi aiutata. Vo… voleva che foste voi a sostenerla e prendere il posto di suo marito, ma non siete stato abbastanza uomo! Lei è venuta da me e… e ha trovato quel che cercava!»
Il generale scosse la testa. Pensare di poterlo colpire per primo era una mera illusione.
Abbassò il fioretto, e si limitò a fissarlo negli occhi, con lo sguardo di chi, seppur silente, sta gridando: «Spara!»
Lo sparò arrivò, forte come sempre, impietoso come sempre.
Léandre si accasciò al suolo, tremante, facendo cadere il fucile nell’incomprensione.
Alexandre si voltò a destra, incolume, sorpreso quanto il suo avversario.
Christophe, accasciato in un angolo, teneva il braccio destro alto. La sua fedele pistola fumava.
«La contessa ha trovato esattamente quel che cercava…» sussurrò fra i gemiti di dolore «…l’idiota che le serviva.»
Alexandre gli corse in contro per controllare la ferita, lasciando cadere il diamante. Non impiegò molto a comprendere ch’era mortale, che il sangue che fuoriusciva era troppo, per essere fermato. Quell’ultimo gesto era stato solamente il segno della forza di volontà indomabile di un comandante fedele, di un amico, che ora sarebbe venuto meno.
Il generale non poté più trattenere le lacrime, mentre stringeva la mano del suo compagno d’arme, che l’osservava fermo, sempre più consapevole dell’avvicinarsi della notte, ma non spaventato dal suo terribile dono di quiete.

Alexandre non sarebbe stato capace di dire quanto tempo fosse passato, quando riprese il diamante fra le mani.
Era così poco lucente, ora, macchiato dal sangue di amici, nemici e innocenti, sporcato e annerito dalla terra. Un oggetto freddo, di valore così alto per gli uomini, ma che agli occhi di colui che lo aveva tanto bramato, ora, sembrava solamente un pugno di polvere.


Fine

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